Ursula K.Le Guin (Berkeley, 21/10/1929-Portland, 22/01/2018)
Ci sono persone che, con la loro opera, anche senza conoscerle direttamente, costruiscono il nostro mondo interiore. Una parte delle anime di tantissime persone -noi compresi- l’ha costruita certamente lei, “quella di Anarres” che allo stesso tempo ci ha fatto capire cosa siamo e dato speranza nella razionalità e bellezza di un mondo altro dal presente di servi e padroni. Grazie Ursula.
La Redazione
La Fantascienza è una forma di letteratura popolare – per nulla nel senso spregiativo del termine – nata non casualmente con la società industriale, perché la sua specifica forma narrativa ha permesso e permette tuttora di rappresentare le potenzialità ed i timori degli uomini di fronte ad una situazione che modifica di continuo, in una maniera mai vista prima, le condizioni materiali di vita di ogni essere umano. È facile notare la forte presenza dell’anarchia – intesa sia come appartenenza ideologica e talvolta militante dei singoli scrittori, sia come tematica narrativa che va di là di questi, pur numerosi. Queste schede di lettura vogliono sostanziare la seguente tesi: se, come dicevamo all’inizio, la fantascienza rappresenta i timori e le speranze verso il futuro della società industriale, in esso l’anarchia rappresenta costitutivamente il lato della speranza.
LE GUIN, Ursula K., I reietti dell’altro pianeta. Un’Ambigua Utopia, traduzione di Riccardo Valla, Collana Narrativa di anticipazione n. 6, Editrice Nord, 1976 (prima edizione italiana, cui sono susseguite fino ad oggi numerosissime altre, talvolta col titolo – decisamente meno peggio, di Quelli di Anarres. Un’Ambigua Utopia Il titolo originale del 1974 era The Dispossesed. An Ambiguous Utopia – I Senza Proprietà. Un’Ambigua Utopia).
Quelli di Anarres di Ursula Le Guin è sicuramente il testo di fantascienza tra i più premiati della storia del genere, avendo ricevuto alla sua uscita il primo premio sia da parte delle associazioni legate agli editori, sia da quelle degli scrittori, sia da quelle degli appassionati “di base” del genere, nonché uno dei romanzi più letti e viene continuamente ristampato – questo sia nell’edizione originale inglese, sia nelle traduzioni olandese, tedesca, francese, tedesca, portoghese, italiana, cecoslovacca…
La cosa è assai significativa perché il romanzo in questione è sicuramente parte del genere – fa parte del cosiddetto “ciclo dell’Ecumene” della scrittrice, ambientato in un tempo futuro dove si sono realizzati i viaggi interstellari ed in pianeti non terrestri, colonizzati dai terrestri e/o abitati da razze aliene – ma, allo stesso tempo, appartiene in pieno al genere filosofico dell’Utopia.
La storia si svolge intorno alla vicenda di Shevek, geniale fisico teorico, e si alterna a capitoli alterni nella sua presenza rispettivamente in Urras ed in Anarres. Questi pianeti sono per massa sostanzialmente simili e ruotano l’uno intorno all’altro – l’uno, Urras, però è ricco di risorse naturali, l’altro, Anarres, lo è assai meno ed in larga parte arido e desertico. Di conseguenza, quando l’umanità giunse in quel sistema solare, colonizzò Urras e, per molti secoli, nessuno mise piede sull’altro pianeta, finché, all’interno del movimento operaio di Urras, in contrasto sia con la parte capitalistico-liberale del pianeta sia con la parte retta da un regime a capitalismo di stato (l’opera è stata scritta nel cuore della guerra fredda), gli “odoniani” (anarcocomunisti seguaci delle tesi della pensatrice Odo) decisero, in una sorta di secessione dell’Aventino su scala planetaria, di trasferirsi sull’altro pianeta che prese così il nome di Anarres.
Tra i due pianeti gli scambi sono ridotti quasi al nulla, quando Shevek, nato e cresciuto su Anarres e pienamente partecipe della sua cultura, anzi facente parte di un gruppo che contesta alcuni rischi di derive autoritarie presenti nel pianeta e legate alla scarsità di risorse, decide di recarsi su Urras per incontrarne gli scienziati. Qui, grazie alla sua fama, viene accolto con tutti gli onori e fatto vivere nella bambagia, conteso tra le due parti politiche del pianeta, finché non scopre la polvere sotto gli altari, la povertà, l’oppressione, l’umiliazione della maggioranza degli urrasiani su cui si basa l’opulenza ed il potere della minoranza con cui era venuto inizialmente in contatto. Entrato in contatto con il movimento operaio di Urras (in cui scopre presenti sia le componenti comuniste libertarie sia quelle “marxiste”), scopre che si sta organizzando uno sciopero generale e viene invitato a parlare al comizio sindacale. Lui accetta ed il suo intervento anarchico è lirico, fondendo insieme accenti leopardiani (Le Guin è stata docente di letteratura italiana), camusiani e tolstoiani:
“È la nostra sofferenza che ci porta insieme. Non è l’amore. L’amore non obbedisce alla mente e diventa odio quando viene forzato. Il legame che ci unisce è al di là della scelta. Noi siamo fratelli. Siamo fratelli in ciò che condividiamo. Nel dolore, che ciascuno di noi deve soffrire da solo, nella fame, nella povertà, nella speranza, conosciamo la nostra fratellanza. Lo sappiamo, perché abbiamo dovuto impararlo. Sappiamo che il solo aiuto per noi è quello che ci diamo reciprocamente, che nessuna mano ci salverà se non tenderemo la mano. E la mano che voi tendete è vuota, come la mia. Voi non avete nulla. Voi non possedete nulla. Voi non siete proprietari di nulla. Voi siete liberi. Tutto ciò che avete è ciò che siete, e ciò che date.
Io sono qui perché voi vedete in me la promessa, la promessa da noi fatta duecento anni fa in questa stessa città… la promessa mantenuta. Noi l’abbiamo mantenuta, su Anarres. Noi non abbiamo altro che la nostra libertà. Noi non abbiamo altro da darvi che la vostra libertà. Noi non abbiamo altra legge che il singolo principio dell’aiuto reciproco tra individui. Non abbiamo altro governo che il singolo principio della libera associazione. Non abbiamo stati, non abbiamo nazioni, presidenti, capi del governo, capi militari, generali, principali, banchieri, padroni di casa, non abbiamo salari, ospizi, polizia, soldati, guerre. E le cose che abbiamo non sono molte. Siamo compartecipanti e non proprietari. Non siamo prosperi. Nessuno di noi è ricco. Nessuno di noi ha potere. Se è Anarres ciò che volete, se Anarres è il futuro che cercate, allora vi dirò che dovete accostarvi ad esso con mani vuote. Dovete raggiungerlo da soli e nudi, come il bambino giunge nel mondo, nel futuro, senza alcun passato, senza alcuna proprietà, dipendente in tutto da altri per la sua vita. Non potete prendere ciò che non avete dato e dovete dare voi stessi. Non potete comprare la Rivoluzione. Non potete fare la Rivoluzione. Potete soltanto essere la Rivoluzione. È nel vostro spirito, oppure non è in alcun luogo.”
Lo sciopero viene represso nel sangue e, dopo aver assistito impotente all’agonia di un uomo colpito dall’attacco omicida della polizia urrasiana, Shevek viene fatto rifugiare nell’ambasciata terrestre, dove ha modo di regalare all’intera umanità le sue scoperte, la cui acquisizione in forma privatistica era l’obiettivo delle diverse – ma non tanto – componenti della gerarchica società urrasiana e torna su Anarres sempre più convinto di dover portare avanti le idee odoniane, di costruire “un Anarres oltre Anarres”.
“Com’è — domandò [l’ambasciatore terrestre] — come può essere, la società che l’ha fatta, Shevek? L’ho sentita parlare di Anarres, nella Piazza e ho pianto nell’ascoltare le sue parole, ma in realtà non le ho creduto completamente. Gli uomini parlano sempre così della loro casa, della loro terra lontana… Ma lei non è affatto come gli altri. In lei c’è una differenza.
— La differenza dell’idea — egli disse. — Ed è per questa idea, inoltre, che sono venuto qui. Per Anarres. Poiché il mio Popolo si rifiuta di guardare all’esterno, ho pensato che avrei potuto indurre gli altri a guardare noi. Pensavo che sarebbe stato meglio, anziché tenerci lontano, dietro un muro, essere una società come le altre, un pianeta tra gli altri, che dà e che prende. Ma qui mi sbagliavo… mi sbagliavo da cima a fondo.
— Perché? Certamente…
— Perché non c’è nulla, assolutamente nulla su Urras di cui noi anarresiani abbiamo bisogno! Noi lo lasciammo con le mani vuote, centosettanta anni fa, e avemmo ragione. Noi non prendemmo nulla. Poiché qui non c’è altro che gli Stati e le loro armi, i ricchi e le loro bugie, i poveri e la loro miseria. Non c’è modo di agire rettamente, con un cuore trasparente, su Urras. Non c’è nulla che possiate fare in cui non entrino il profitto, la paura di una perdita e il desiderio di potere. Non puoi dire buongiorno a una persona senza sapere chi di voi è “superiore” all’altro o senza cercare di dimostrarlo. Non puoi agire come un fratello verso le altre persone; devi manipolarle, o comandarle, o obbedire loro, o imbrogliarle. Non puoi toccare un’altra persona, eppure non ti lasceranno mai solo. Non c’è libertà. È una scatola… Urras è una scatola, un pacchetto, con tutta la sua meravigliosa confezione del cielo turchino e dei prati e delle foreste e delle grandi città. Tu apri la scatola e cosa ci trovi dentro? Una cantina buia piena di polvere e un uomo morto. Un uomo cui fu troncata la mano perché la tendeva agli altri. Sono stato nell’inferno, infine. Desar aveva ragione; è Urras; l’inferno è Urras.”
Come è potuto accadere che un romanzo utopico sfacciatamente schierato al punto da poter essere anche considerato, volendo, un testo apolegetico e di illustrazione delle tesi dell’anarchismo comunista e sociale, ha avuto l’unanime ed assoluto consenso di associazioni composte da persone di ogni genere di opinioni politiche, dove sicuramente non solo gli anarchici ma i rivoluzionari di sinistra in genere erano nettamente minoritari? Perché è stato immediatamente ed unanimemente avvertito come rappresentante ad alto livello del genere?
Innanzitutto, perché dal punto di vista fantascientifico è un testo “classico” – la “science” qui è presente a piene mani, solo che la scienza in questione è l’antropologia. Anche se il protagonista è un rappresentante delle scienze “dure” – modellato in larga parte sulla figura di Albert Einstein, altro aspetto comunque della “classicità” del romanzo nel genere – Ursula K. Le Guin è figlia dell’antropologo Kroeber ed il suo sguardo alle società descritte è del tutto antropologico, teso ad immaginare i processi culturali e sociali che si svilupperebbero in società più o meno immaginarie. Si pensi alla domanda dell’ambasciatore terrestre su quale tipo di società può formare il tipo umano che vede in Shevek: ebbene, pressoché l’intero romanzo è costruito “fantascientificamente” in base a domande del genere. Uno sguardo questo, d’altronde, che caratterizza sostanzialmente l’intera produzione della scrittrice e non solo The Dispossesed.
Poi – e soprattutto – perché l’anarchia, come dicevamo, non è per nulla un corpo estraneo al genere fantascientifico, anzi ne fa parte integrante, ne è costitutivamente l’aspetto della speranza verso il futuro e, di conseguenza, non viene letta come elemento disturbante anche da parte di chi ha idee magari completamente diverse ma, allo stesso tempo, ama il genere. Da questo punto di vista cose come le “tre leggi della robotica” di Asimov o la “propulsione a curvatura” di Star Trek, per quanto note, sono delle componenti accidentali del genere, mentre il principio speranza – incarnato dall’anarchia – è un elemento fondamentale di esso. Elemento accompagnato sempre da una forte istanza fondazionale etica, dove l’uguaglianza e la libertà si fondono in un’aspettativa di un kantiano regno dei fini.
“Diverso da tutto questo, il posto da dove viene lei, no? — disse Efor.
— Molto diverso.
— Nessuno è mai senza lavoro, lassù.
C’era un debole tono d’ironia, o forse di domanda, nella sua voce.
— No.
— E nessuno ha fame?
— Nessuno ha fame mentre un altro mangia.”
Enrico Voccia